Come succede ormai ad ogni elezione importante dal momento in cui iniziano ad arrivare i primi risultati si inizia a discutere dei sondaggi, anzi del fallimento dei sondaggi. Direi che sta quasi divenendo una moda mettere subito in croce i sondaggi.

Ma è poi vero che si sono rivelati così fallimentari? Io non ne sono convinto.

Per prima cosa si deve notare che, osservando in modo analitico i sondaggi della vigilia, l’unica vera grande evidenza era l’assoluta incertezza della contesa. Basti dire che il cosiddetto “sondaggio dei sondaggi” di realclearpolitics.com vedeva ben 15 stati “toss up”, letteralmente da lancio della monetina.

Ed è su questi dati che si apre un discorso fondamentale quale quello dell’interpretazione dei dati, attività non facile soprattutto se si cade nella trappola di leggerli vedendoci quello che si desidera, come forse è successo a molti commentatori che hanno scambiato la speranza in una vittoria Clinton in una previsione.

Il tutto si inserisce, nel caso delle presidenziali americane, in un errore di approccio. Per capire se i sondaggi sono corretti si va subito a verificare se hanno previsto la vittoria nel voto popolare. Però a volte, e questa è una di quelle, tra voto popolare e grandi elettori ci può essere una discrepanza. Ed infatti in queste elezioni nel voto popolare ha vinto, di più di mezzo milione di voti, Hillary Clinton. Quindi dire che chi ha previsto Trump in questo tipo di indagine ci ha preso e chi ha previsto Clinton ha sbagliato non è assolutamente corretto.

Notiamo poi notevoli differenze tra i vari sondaggi.

C’è chi è stato particolarmente preciso come IBD/TIPP che nel “two candidate question” ha dato Clinton a + 1, con uno scostamento dello 0,5% dal risultato reale, mentre nel sondaggio “overall” ha dato Trump avanti di 1,6, con una differenza del 2,1%.

Anche altri hanno avuto uno scostamento comunque accettabile come Rasmussen Reports a +2 Clinton e Bloomberg e Reuters con un +3. Altri invece sono decisamente usciti dall’errore statistico.

Ma quel che è da sottolineare è che il vero errore è stato porre al centro dell’attenzione a livello mediatico questa tipologia di analisi forse interessante per sondare gli umori della popolazione ma sicuramente di secondaria importanza al fine di predire la vittoria di uno dei contendenti.

Infatti i sondaggi che contano davvero sono quelli che riguardano i singoli stati e qui oggettivamente si sono visti molti errori ma anche ottime performance.

Per meglio comprendere analizziamo gli stati più significativi ai fini della vittoria di Trump: Florida, Ohio, Iowa, North Carolina, Pennsylvania, Michigan e Wisconsin.

La Florida era data dalla maggior parte dei sondaggisti come estremamente contesa. Negli ultimi giorni l’oscillazione andava da un +2 Clinton ad un + 4 Trump. Gli elettori hanno sancito un +1,3 di Trump, decisamente dentro il range e con uno scostamento accettabile da quasi tutti i sondaggi.

In Ohio e Iowa tutti i sondaggi tranne uno in Iowa (Loras College) davano la vittoria a Trump, anche se con dimensioni inferiori rispetto al voto.

Con la North Carolina invece iniziamo a trovare veri problemi. Infatti se alcuni istituti si sono avvicinati molto al +3,8 Trump reale (Remington Research con un +2 e Trafalgar Group con un +5), altri hanno oscillato da un +1 ad un +3 Clinton (Gravis, Quinnipiac, CBS/You Gov). E qui l’errore inizia a farsi grave.

Ancora più interessante la situazione in Pennsylvania dove solo Trafalgar Group ha previsto la vittoria di Trump, arrivata con un +1,2. Va però detto che molti altri istituti pur dando a Clinton un +1 o un +2 (Gravis, Susquehanna) sono rimasti entro l’errore statistico. Fuori misura invece un paio di sondaggi con un +4 Clinton (Monmouth University e Morning Call/Muhlenberg College).

Più grave, con l’eccezione di Trafalgar Group (Trump +2), la situazione in Michigan dove quasi tutti i sondaggi prevedevano Clinton avanti di 4 o 5 punti (Detroit Free Press, Fox, PPP, Gravis) mentre il voto vede Trump avanti di 0,3.

Veramente clamoroso risulta infine il caso del Wisconsin vinto da Trump con un margine di un punto a fronte di vari sondaggi che prevedevano un +6 Clinton e addirittura Remington Research (eccellente in altri stati) che nell’ultimo sondaggio vedeva Clinton avanti di addirittura 8 punti. Effettivamente in quest’area del paese (la regione dei grandi laghi) è successo qualcosa di nuovo non percepito da gran parte dei sondaggisti, dei commentatori e, soprattutto, dallo staff di Hillary Clinton. Credo che sullo spostamento di voto di intere classi sociali tradizionalmente democratiche, che presumibilmente nei sondaggi sono state restie a dichiararsi, ci sarà parecchio da analizzare nei prossimi mesi soprattutto da parte dei Democratici.

In conclusione possiamo affermare che sicuramente si è assistito ad alcuni fallimenti, ma si sono visti anche sondaggi molto accurati. Alcuni istituti hanno collezionato errori in serie mentre altri escono da trionfatori da queste elezioni. E questa non è sicuramente una sorpresa. Il mondo dei sondaggi non è diverso da quello di altre attività. C’è chi lavora con più accuratezza e chi meno, c’è chi evolve le proprie tecniche di indagine e chi no, ci sono sondaggi sui cui si investe molto e altri fatti in economia.

 

Paolo Pasi

QUAERIS

Esperto in Analisi Politica e Ricerca Sociale