Ne La tela animata, film di animazione del 2011 di Jean-François Laguioine, lo spettatore viene catapultato in un dipinto non (ancora) terminato, dove vivono tre tipologie di personaggi: i Compiuti, perfettamente realizzati, gli Incompiuti, a cui manca un’ultima pennellata, e gli Schizzi, figure appena abbozzate. Ramo, giovane compiuto, innamorato di Claire, il cui volto è invece privo di colore, in disaccordo con l’atteggiamento sprezzante dei suoi simili, decide di sfidare il Grande Candeliere, a capo dei Compiuti, il quale propaganda che, poiché il pittore non tornerà più, le differenze tra classi sono immutabili, anzi naturali e giuste. Molte sono le sfide che Ramo ed altri personaggi devono affrontare per ristabilire l’uguaglianza. Migrando di cornice in cornice e sperimentando così diversi mondi, riescono alla fine a incontrare l’anziano, arrendevole pittore, che ormai dipinge solo distanti paesaggi senza soggetti.

Leggendo i risultati dell’indagine condotta da Quaeris sul ruolo della donna nella società italiana, il volto non può ospitare un amaro sorriso. Nella quasi totalità degli aspetti esaminati, emerge, infatti, un atteggiamento maschile generalmente differente rispetto a quello delle donne, nonché sistematicamente meno propenso a cogliere quelle diversità che determinano assetti sociali caratterizzati iniquità e disuguaglianza. Affiora, d’altro canto, uno sguardo femminile tristemente consapevole, di cui si intuisce rabbia e frustrazione, talora quasi inquietantemente rassegnato. Questa considerazione sorge da un personale pregiudizio, che tuttavia affonda le radici nella quotidiana constatazione delle differenti possibilità concesse agli uomini e alle donne in Italia. Un pregiudizio che quindi non è difficile sostenere e a fronte del quale la lettura dell’indagine si tinge un po’ d’imbarazzo.

C’è un vuoto tra il mondo femminile e quello maschile, solo parzialmente colmato. Se in alcuni casi, sembrano affiorare incoraggianti punti d’incontro, complessivamente lo scenario delineato dall’indagine somiglia a un arcipelago in cui, oltre la superficie del mare, affiorano pochi territori comuni.

Uomini e donne, soprattutto giovani, concordano sostanzialmente rispetto a una femminilità che può sganciarsi dalla generatività, senza per questo perdere orizzonti di realizzazione (il 73,1% dei maschi e l’86% delle femmine concordano rispetto all’affermazione proposta). Allo stesso modo, le percezioni maschili e femminili tendono a uniformarsi sia rispetto alla capacità di fare squadra delle donne (solo il 17,2% degli uomini e il 7% delle donne si dichiarano concordi rispetto a un’eventuale minore capacità femminile di operare in team), sia nei confronti dell’abilità femminile a confrontarsi coi superiori (quasi la totalità di uomini e donne intervistati mostrano un disaccordo rispetto a un’ipotizzata minore capacità femminile di valorizzarsi presso i superiori).

Tuttavia, quando si parla di potere, tema decisivo rispetto agli equilibri sociali, gli orientamenti divergono notevolmente.

Solo il 4,1% degli uomini (a fronte del 43,7% delle donne) ammette che una maggior presenza femminile in ruoli di potere potrebbe implicare vantaggi, anche di tipo economico. Davvero qui l’uomo pare somigliare al Grande Candeliere, simbolo di un potere pachidermico e attempato, riluttante a ospitare nuove forze e prospettive nel proprio lussuoso palazzo. Rattrista, allo stesso tempo, l’incertezza con cui comunque la donna sembra proporsi in tale ambito (ben il 43% dichiara, infatti, di non saper rispondere).

La distanza tra lo sguardo maschile e femminile aumenta sensibilmente nel momento in cui la ricerca indaga se una donna possa candidarsi come leader più competente dell’alter ego virile: le donne sembrano piuttosto consapevoli delle loro qualità, evidenziando un consenso pari a 72,2 punti percentuali, mentre gli uomini sono decisamente meno persuasi da questa prospettiva (solo il 22,8% riconosce possibile questa eventualità). Quando la ricerca analizza poi le percezioni maschili e femminili rispetto alle possibilità di carriera delle donne, le differenze si accentuano ulteriormente. La maggioranza degli uomini (82,8%), soprattutto giovani, ritiene, infatti, che le donne abbiano le loro stesse opportunità. Similmente, solo il 35% degli intervistati di sesso maschile pensa che la maternità possa costituire una fonte di discriminazione nella carriera di una donna, quando invece gli scenari della clinica psicologica ospitano, a tal proposito, frequenti storie di disagio.

Infine, un confronto complessivo sul maschilismo in Italia. Globalmente ritenuto piuttosto debole (55,9% del campione), è tuttavia avvertito come forte proprio dalla sensibilità femminile (oltre il 70% delle donne sostiene questa idea), mentre colpisce l’apparente distrazione degli uomini, che complessivamente (87,6%) considerano il fenomeno non rilevante.

Come connettere allora le isole di un arcipelago così delineato?

G. Cecchin, uno dei maggiori esponenti della terapia familiare in ambito mondiale fino agli anni duemila, sosteneva che i pregiudizi fossero importanti, anzi inevitabili. Se, infatti, “pensare è giudicare”, come già sostenuto da I. Kant, non ci è possibile formulare alcun pensiero senza introdurre un giudizio; il quale, con l’andare del tempo, può silenziosamente depositarsi in memoria come pre-giudizio, conoscenza data per certa e implicita, in grado di dare tacitamente forma a molte altre idee. E le idee fanno mondo. Non sono solo rappresentazioni della realtà sociale, ma veri e propri mattoni che, depositati gli uni sugli altri giorno dopo giorno, edificano paesaggi urbani di differenza e distanza, attraversati da veri e propri muri. Accorgersi dei propri pregiudizi richiede una capacità riflessiva raffinata, un atteggiamento umile e, soprattutto, una dimensione interiore di sicurezza emotiva, a cui si sa di poter far ritorno anche dopo aver abbandonato, più o meno provvisoriamente, le proprie certezze e convinzioni.

Per compiere l’impresa ne La tela animata, Ramo sfida i pregiudizi della propria gente. Mosso da amore, sentimento che appunto mobilita, scompaginando l’ordine sociale, si schiera con chi ancora è incompiuto o appena abbozzato lungo il cammino che conduce a dare colore e luce all’esistenza. Similmente, ci si aspetterebbe oggi che fosse proprio la figura dell’uomo, solo parzialmente consapevole delle disuguaglianze sociali che affliggono il femminile, a smuovere gli equilibri sociali a cui attivamente partecipa, uscendo faticosamente dalle comode cornici di significato in cui vive ogni giorno per permettere alle donne le stesse opportunità di dipingere la figura della propria realizzazione e felicità.

 

A cura di Tito Sartori

(Tito Sartori, Psicologo Psicoterapeuta, svolge attività clinica e didattica presso il Centro di Terapia Familiare Eidos di Treviso, sede della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Sistemico-Relazionale riconosciuta dal MIUR, rivolta a medici e psicologi, del Centro Milanese di Terapia della Famiglia. Svolge attività di formazione per aziende, enti regionali e nazionali e attività di ricerca in collaborazione con Università e ULSS rispetto al tema dell’obesità. Da anni si interessa al modo attraverso cui i diversi sistemi umani che incontra (famiglie, scuole, ospedali, centri sportivi, aziende, ecc.) comunicano e apprendono, affrontando criticità e attivando processi di sviluppo.)

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