Il primo turno delle elezioni amministrative ha dato segnali tali da far pensare di trovarsi davanti ad un cambiamento epocale del panorama politico.

L’elevato astensionismo, le difficoltà di quasi tutti i partiti, salvati qua e là da personaggi stimati – spesso premiati più dalle liste personali che dal voto al partito – e la forte crescita di un movimento anti (o fuori) sistema come il Movimento 5 Stelle. La grave crisi del centrodestra era scritta fin dall’inizio della seconda Repubblica. Prima o dopo dei partiti “carismatici” avrebbero seguito la naturale parabola dei leader e si sarebbero trovati davanti ad un bivio: sparizione o trasformazione.

La Lega viene “salvata” da alcuni amministratori solo in alcune aree. Nelle regioni del Nord dove era meno forte (ad esempio l’Emilia Romagna) tende a sparire. Cala nettamente anche in Piemonte, tracolla in Lombardia (tranne qualche amministratore in piccoli centri). In Veneto ha risultati diversi: sparisce a Belluno, tracolla a Vicenza, regge nei piccoli comuni soprattutto del trevigiano ed ha due importanti vittorie a Verona (dove però la lista della Lega prende solo il 10%!) e a Cittadella (dove si verifica l’unico risultato significativo per i “bossiani”).

Il risultato elettorale ci restituisce una Lega ancora più “locale” di prima, con una riduzione delle proprie roccaforti, con una conseguente difficoltà nel continuare ad avere un ruolo a livello nazionale. Il futuro della Lega dipenderà in buona parte dagli esiti delle dispute interne. Se prevalesse l’area più pragmatica e meno ideologica si potrebbe anche immaginare la rinascita di un soggetto, forse, in grado di meglio rappresentare le istanze del Nord. Ma sarebbe necessario un taglio netto con simboli e protagonisti del passato. E’ possibile che possa accadere? E, soprattutto, questo soggetto sarebbe ancora la Lega o sarebbe qualcos’altro?

Il PDL appare alla deriva. Tiene un po’ meglio al Sud e ha qua e là qualche risultato sporadico. La crisi sembra destinata a continuare, la successione è ancora in corso con una presenza molto alterna di Berlusconi. Grave è inoltre la poca capacità (o volontà) di leggere le ragioni della crisi da parte di molti esponenti: ci si è concentrati sull’appoggio a Monti dimenticandosi, ad esempio, che i segnali c’erano tutti già nelle amministrative dello scorso anno.

Il Terzo Polo non riesce assolutamente ad approfittare di questa situazione, non riesce ad espandersi continuando ad essere molto lontano dal divenire riferimento dei cosiddetti moderati. L’impressione è che ci sia una grande area moderata che ha perso ogni riferimento e cerca una risposta credibile. I leader attuali hanno perso credibilità ed è improbabile che possano essere la risposta, malgrado tutti i tentativi di “rassemblement”. L’evidenza è che si è creato un enorme spazio nell’area moderata che potrà essere occupato non tanto da nuovi soggetti politici quanto da nuove personalità

Il PD “tiene” o meglio perde meno di altri, ma sicuramente dimostra di non essere pronto nel tanto auspicato momento della fine del “berlusconismo”. Continua a faticare molto nelle Regioni del Nord. Da un lato fatica a mantenere il proprio elettorato tradizionale e dall’altro non riesce a porsi come credibile destinazione dei voti in fuga dall’area moderata.

IDV e SEL non confermano gli interessanti risultati delle amministrative 2011 e segnano un arretramento.

Curiosamente sembrerebbe che, almeno tra i partiti più consolidati, il sostegno o meno al Governo Monti non faccia grande differenza. Ciò non è sorprendente se si pensa che da un lato i partiti che avevano vinto le elezioni del 2008 pagano il fatto di aver reso necessario il governo tecnico, mentre dall’altro lato i partiti di opposizione pagano il fatto di non essersi dimostrati pronti a guidare il Paese nel tanto auspicato momento del crollo del “berlusconismo”.

Nella difficoltà di tutti i partiti emerge solo il Movimento 5 stelle. Raccoglie risultati significativi in tutto il Nord e addirittura nelle “regioni rosse” diviene spesso il principale partito di opposizione al centrosinistra. Ha successo grazie ad una interessantissima miscela tra le dichiarazioni antisistema di un leader mediatico e ricette molto semplici sul territorio: partecipazione, giovani, facce pulite.

Il definirli “antipolitica” e sottolineare come non abbiano solide linee programmatiche appare una debole difesa per le forze “tradizionali”. E’ normale che, in alcune fasi politiche, appaiano soggetti che giocano la partita in modo diverso dagli altri. Basta pensare alla Lega, poi a Forza Italia e, in parte, al Partito Democratico.

Proprio il Partito Democratico dovrebbe trarre notevoli spunti di riflessione dal successo del Movimento 5 stelle. Ricordiamo che poco più di 4 anni fa il PD era nato sulla base di forti regole di democrazia interna e partecipazione. Rivista ora l’idea originaria del PD appare anticipatrice, si proponeva di sostituire una democrazia partecipativa ad una democrazia leaderistica, una politica aperta alla società ad una democrazia chiusa nelle stanze del potere. Il PD si proponeva come partito nuovo nel modo di relazionarsi con la società e di interpretarla, comprendendo e rappresentando ogni area del Paese. Quanto è riuscito a realizzare di tutto ciò?

Inoltre, continuare a basare le proprie analisi in prospettiva Politiche 2013, sul vantaggio relativo su concorrenti attualmente più in crisi potrebbe essere molto pericoloso. Anche il PD se non saprà interpretare il vento di novità che sta soffiando potrebbe esserne travolto. In conclusione, l’elettorato sembra oscillare tra la sfiducia nell’attuale sistema e la speranza di cambiamento. Gli attuali partiti potranno continuare ad esistere solo interpretando realmente questa voglia di “nuovo” con decisi mutamenti nel linguaggio, nella visione di futuro e nella leadership.

Paolo Pasi fa parte dello staff di Quaeris ed è Esperto in Analisi Politica e Ricerca Sociale.