Le recenti elezioni amministrative, e in particolare il secondo turno, hanno sicuramente dato una scossa alla politica italiana. Ogni elezione porta con sé preziose indicazioni, ma raramente i segnali si presentano con tale forza.

La prima evidenza è rappresentata dalla crisi dell’attuale centrodestra che, ricordiamo, aveva vinto con amplissimi margini le politiche 2008 e che aveva avuto buoni risultati alle regionali di solo un anno fa. In primo luogo è parso appannato l’appeal di Berlusconi che, non solo non ha dimostrato la solita capacità di attrarre voti e di portare al voto (come dimenticare la rimonta delle politiche 2006), ma sembra addirittura aver danneggiato i candidati che ha sostenuto. Un secondo fattore è l’inadeguatezza del PDL, soprattutto nelle sfide sul territorio dove la selezione della classe dirigente e dei candidati non sono fattori secondari. A differenza delle scorse elezioni regionali, poi, i voti hanno smesso di muoversi entro il centrodestra, passando da PDL a Lega. Infatti, questa volta, la Lega non è stata beneficiata dalle difficoltà del PDL con il conseguente primo brusco stop dopo la continua crescita degli ultimi anni.

Alcuni hanno cercato di ascrivere i risultati negativi alla scelta dei candidati e agli errori di comunicazione in campagna elettorale. Ma, fermo restando che i motivi delle sconfitte sono sempre molteplici, vorrei comunque soffermarmi su questi aspetti. Non si può semplicemente parlare di errori di comunicazione, si deve andare all’origine, all’errata lettura della realtà, all’incapacità di capire le priorità dei cittadini. Addirittura sorprendente il caso di Milano dove alcune infelici scelte nei temi e nello stile di comunicazione come l’esagerato accento sulle paure dei cittadini e la demonizzazione dell’avversario, che già non avevano pagato al primo turno, sono state addirittura accentuate nel secondo, suggerendo che non solo il centrodestra non aveva il polso della situazione ma che aveva addirittura perso la bussola. Ciò ha avuto pesanti costi ed in molti casi il candidato di centrodestra, Lega compresa, ha preso meno voti al ballottaggio rispetto al primo turno. Macroscopico il caso di Lettieri, che a Napoli ha perso 40.000 voti in 15 giorni. Se le difficoltà del centrodestra appaiono evidenti, più complesso è stabilire il reale stato di salute delle altre parti politiche.

Per il centrosinistra queste elezioni sembrano segnare un’inversione di tendenza rispetto al recente passato, ma la strada da percorrere è ancora lunga. Infatti il PD ha mostrato segnali di ripresa, ma sono da rimarcare soprattutto i grandi successi di candidati di altri partiti come Pisapia e De Magistris che, assieme ai buoni risultati di SEL, hanno evidenziato la rinascita dell’area a sinistra del PD. Si profila quindi una ricerca di nuovi equilibri.

Resta imperscrutabile la realtà del “terzo polo”. Con questo sistema elettorale e, soprattutto, con l’abitudine consolidata degli elettori al bipolarismo, gli spazi per una proposta di questo tipo sono limitati. L’anima di questo Polo rimane comunque l’UDC, dato che FLI non è ancora decollata e l’API è un progetto che non ha mai dato seri segni di vita. Il progetto rischia di logorarsi, rimanendo sempre allo “stato nascente”, incapace di prendere posizioni, rimanendo “in mezzo al guado”, come è accaduto addirittura tra il primo e il secondo turno.

Per comprendere la portata di queste elezioni le chiavi di lettura possono essere molteplici e vanno oltre il successo o l’insuccesso di uno schieramento o di un singolo partito. Vorrei proporne alcune. Per prima cosa è da rimarcare come la definizione di categorie sociali di riferimento per i partiti appaia sempre più difficile: se già da anni era evidente come il voto operaio non fosse più appannaggio esclusivo della sinistra in alcuni casi, eclatante quello di Milano, si è dimostrato che nemmeno il voto delle cosiddette “partite IVA” è esclusivo del centrodestra. Ciò non è per nulla sorprendente in un mondo come quello attuale, in cui le categorie del lavoro dipendente e del lavoro autonomo e i loro confini non sono più nemmeno comparabili a quelle della “prima Repubblica”.

Un secondo aspetto riguarda il concetto di “moderazione”: in elezioni caratterizzate dai toni altissimi in alcuni casi il voto moderato ha premiato la moderazione come stile più che come collocazione nello schieramento.

Vi è poi l’aspetto della partecipazione: per il centrosinistra le difficoltà sono arrivate soprattutto dove la scelta dei candidati non è stata condivisa, invece i candidati usciti dalle primarie sono spesso andati verso notevoli soddisfazioni. Non è un caso che anche nel centrodestra, e in particolare nel PDL che a differenza della Lega non può contare sul radicamento e la capacità di mobilitazione nel territorio, si sia aperta una discussione sulle modalità di selezione dei candidati.

Infine è da rimarcare la voglia di cambiamento: l’elettorato non reagisce alla “stanchezza” per la politica attuale solo disertando le urne ma anche rivolgendosi ad una “offerta” diversa. Non si possono trascurare i risultati delle liste Grillo in alcune città, in primis il clamoroso 9,5% a Bologna, e non si può non tenere conto della voglia, anzi della speranza di cambiamento dei Napoletani che ha premiato in modo eclatante un candidato fuori dagli schemi principali.

Dunque i segnali di novità non mancano e chi avrà maggiore capacità di leggerli, di capire la realtà attuale, di liberarsi da vecchi schemi potrà aumentare notevolmente le proprie possibilità di successo.

Paolo Pasi, analista politico Quaeris