Federalismo. La stima di Prato (Demanio): dote insufficiente per avviare il decentramento – Calderoli: ci sono altri immobili.

Dal trasferimento dei beni statali solo 5 miliardi.
ROMA. Il primo decreto attuativo del federalismo potrebbe valere cinque miliardi. La stima non è giunta dal governo ma dal direttore dell`Agenzia del demanio Maurizio Prato. Numeri che il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli ha però considerato sottostimati.

Tutto ciò mentre il leader del Carroccio Umberto Bossi ha nuovamente chiesto di accelerare sulla riforma «per non finire come la Grecia» mentre il presidente della Camera Gianfranco Fini ha rinnovato l`invito a «mettere nero su bianco le cifre» perché «non è possibile discutere di federalismo senza sapere quanto costa e quanto viene stanziato».

Per ora gli unici numeri disponibili riguardano il federalismo demaniale. Durante l`audizione di ieri davanti alla commissione bicamerale per l`attuazione, Prato ha precisato che, sebbene «non è dato conoscere preventivamente l`entità quantitativa dei beni di proprietà dello stato che saranno concretamente incisi dall`operazione», difficilmente la somma potrà superare i 5 miliardi. La base di partenza sono i 3,3 miliardi del patrimonio disponibile che, ha aggiunto il direttore dell`Agenzia, di certo «non diventeranno né 300 né 30». A questi bisognerà, da un lato, aggiungere i 500 milioni del demanio militare che potrebbero anche salire a due miliardi; dall’altro, sottrarre i zoo milioni di incassi attesi dalle vendite in corso, che il trasferimento – «a titolo non oneroso» come prevede il decreto, ndr – a regioni ed enti locali potrebbe bloccare.

Tale ammontare, ha precisato Prato, non rappresenta «la base per avviare il processo federalista». Tanto più, ha spiegato, che sul testo esisterebbero anche altri problemi come «tempi eccessivamente stringenti» della procedura di dismissione (entro 30 giorni ogni amministrazione deve comunicare quali beni vuole mantenere mentre entro 180 giorni deve arrivare il primo Dpcm con l`elenco dei beni trasferibili dal centro alla periferia) o un peso eccessivo attribuito ai fondi immobiliari rispetto agli altri strumenti di valorizzazione previsti dalla legge.

Le cifre fornite da Prato non hanno trovato d`accordo il ministro Calderoli perché «il patrimonio demaniale è una cosa ma ci sono tanti altri beni che non fanno parte di questo patrimonio». Ad esempio i fiumi che in teoria valgono zero ma che potrebbero essere dati agli enti locali e da questi girati in concessione, ad esempio, ai produttori di energia elettrica. Oppure gli edifici che le amministrazioni statali hanno in uso ma non utilizzano e che verrebbero rimessi in circolo.

Lo stesso Calderoli ha poi incontrato, insieme al titolare degli Affari regionali Raffaele Fitto, una delegazione di governatori per approfondire le doglianze sul federalismo demaniale espresse dalla conferenza dei presidenti di giovedì scorso. Al termine del summit tutti gli intervenuti si sono detti ottimisti. Il presidente emiliano Vasco Errani ha ripetuto che «c`è bisogno di cambiare un`impostazione che rimane non risolutiva» laddove l`assessore lombardo al Bilancio Romano Colozzi ha auspicato che si possa «arrivare a un punto di sintesi senza confusione e conflitti istituzionali».

Alcune possibili soluzioni sono emerse già ieri e saranno approfondite nei prossimi giorni in modo da modificare il testo prima del secondo (e definitivo) passaggio a Palazzo Chigi che dovrà arrivare entro il 21 maggio. Ad esempio, anziché indicare solo le categorie di beni trasferibili, il decreto potrebbe già individuare il livello di governo più appropriato a riceverli in base alle competenze svolte. Oppure si potrebbe riconoscere alla regione la proprietà di alcuni cespiti e il compito di ripartirne il valore con comuni e province. Ammesso che questi ultimi siano d`accordo. Infine, altre risposte sono attese sul demanio marittimo e su quello militare.