Le elezioni amministrative hanno dato inequivocabili segnali di cambiamento nel panorama della politica italiana e hanno fatto del Veneto un piccolo laboratorio politico.

In questa regione si possono infatti ritrovare esempi di ogni tipo di “fenomeno” verificatosi. Un leghista “maroniano” vince al primo turno grazie a se stesso e alle liste civiche ma con un pessimo risultato della Lega (10% a Verona), un leghista “bossiano” fa più o meno la stessa cosa a Cittadella, e nello stesso modo, anche se al secondo turno, vincono alcuni rappresentanti del PDL a Conegliano, Vigonza, Cerea. Assistiamo al successo della coalizione “montiana” a Jesolo. Vediamo il centrosinistra a guida PD sconfiggere i candidati leghisti al ballottaggio a Thiene e San Giovanni Lupatoto. Un centrosinistra che vince anche a Feltre (al primo turno) ma con un candidato non PD e che, soprattutto, viene sconfitto da civiche della stessa area (a Belluno) e incassa una dura sconfitta dal candidato del Movimento 5 Stelle a Mira.

Quali indicazioni generali si possono trarre da tutto ciò? La prima evidenza è la grave crisi della Lega e quella gravissima del PDL. Malgrado ciò, l’elettorato Veneto continua a mantenersi prevalentemente di centrodestra ed i voti che si allontanano da questi partiti non vanno verso altri partiti ma verso le civiche di area o verso l’astensione. Potremmo dire che sono voti in attesa di una destinazione nell’ambito del centrodestra, una destinazione che difficilmente potrà essere fornita dagli attuali partiti a meno che non ci sia un profondissimo rinnovamento. E’ infatti da notare l’incapacità sia del “terzo polo”, che ci contava molto, sia del Partito Democratico ad “occupare” questa area politica. Il Partito Democratico continua infatti a dimostrare una limitata capacità espansiva in questa Regione non riuscendo a dimostrarsi un credibile rappresentante degli interessi del territorio. Il Veneto è una delle regioni dove più è eclatante la crescita del Movimento 5 Stelle capace di raccogliere voti provenienti da ogni schieramento, soprattutto dal PD al primo turno e dal centrodestra al secondo.

Queste amministrative ci restituiscono quindi un panorama completamente cambiato anche se in realtà ciò che è avvenuto non può sorprendere più di tanto. Infatti i segnali di un irrefrenabile declino dei partiti tradizionali, in particolare di centrodestra, c’erano già da qualche tempo e le amministrative dell’anno scorso avevano già dato inequivocabili segnali).

I primi scricchiolii elettorali per PDL risalgono al 2010, quando in Veneto passò dal 27,3% delle politiche al 24,5 e si fece superare nettamente dalla Lega che volò dal 27 al 35%. Ulteriori segnali si sono ravvisati nelle amministrative 2011 con il risultato della provincia di Treviso (13,6%) e alcuni risultati nelle grandi città, come Napoli e Milano. a livello nazionale. Particolarmente significativa la debacle di Milano, causata anche da una campagna elettorale davvero infelice da parte del centrodestra, che veniva a dimostrare una sempre maggiore difficoltà nel comprendere la realtà sia da parte del PDL e dei suoi consulenti sia da parte della Lega, probabilmente non più “vicina” ai cittadini come in passato.

La Lega infatti dopo i grandi risultati del 2010 dava qualche segnale di stanchezza cominciando ad arretrare nelle aree più forti: a Treviso dopo il mirabolante 48,5% delle regionali passava al 29,6 a cui si poteva sommare la Lista Razza Piave arrivando comunque “solo” al 40,8. Ma, più che dei risultati elettorali, la Lega doveva iniziare a preoccuparsi dei problemi interni che stavano emergendo: ricordiamo ad esempio le discussioni a proposito della scelta di presentare la Lista Razza Piave a Treviso, invisa ad una parte del partito.

Queste difficoltà nel centrodestra non premiavano il “terzo polo”, che già nel 2011 dimostrava una limitatissima capacità di espandersi e di raccogliere l’elettorato in fuga dal PDL. Anche per il Partito Democratico le amministrative 2011 avevano dato indicazioni significative. Infatti se le numerose vittorie (come quest’anno) davano da un lato ragione di soddisfazione dall’altro era evidente come il centrosinistra avesse vinto soprattutto quando la scelta del candidato era avvenuta con primarie aperte e spesso con la vittoria di candidati non organici al PD come a Milano e Napoli. Quindi un Partito Democratico messo meglio di altri partiti, ma con un elettorato che chiedeva rinnovamento e partecipazione.

I risultati di questi giorni non fanno quindi che confermare il declino dei partiti “tradizionali” che, chiusi in se stessi, non hanno avuto la capacità di cogliere i segnali provenienti dal Paese (dal “mondo esterno” verrebbe da dire) e di iniziare per tempo a riformarsi. E risentire, ad un anno di distanza, alcuni leader politici rifare gli stessi commenti (“abbiamo sbagliato candidati”, “abbiamo vinto noi”, “è solo antipolitica” …) dimostra che questi partiti hanno perso un ulteriore anno e, in una situazione di rapido mutamento come l’attuale, questo potrebbe essere un errore irrecuperabile.

Paolo Pasi fa parte dello staff di Quaeris ed è Esperto in Analisi Politica e Ricerca Sociale.